Eat-me-when-I-am-fatter
Three Billy Goat Gruff è una favola norvegese pubblicata la prima volta fra il 1841 e il 1844.
Ha una trama “mangiami-quando-sarò-più-grasso”, per la quale tre caprette, qualche volta identificate come nipote, padre e nonno, ma più spesso come fratelli, e rare volte come baby capra, mamma capra e papà capra, devono attraversare un ponte per raggiungere l’erba di cui nutrirsi e diventare più grasse.
La storia insegna a non essere avidi, affrontare le sfide e pensare a soluzioni intelligenti. Ci sono molte apparizioni e molte allusioni alle tre caprette, nel cinema, musica, letteratura, tv, games, fumetti, ma ricordiamo qui che, in Toy Story 4, la pecora a tre teste di BoPeep, precedentemente senza nomi, ora viene chiamata Billy, Goat e Gruff. E, nel 2003, il tema delle decorazioni natalizie nella Casa Bianca, fu “Three Billy Goat Gruff”. Gruff è il loro cognome nella prima versione inglese, Bruse era il loro cognome nella versione norvegese.
L’avventura sta continuando; prende forme, direzioni, supera passaggi, scaccia mostri, affina l’intelligenza. La compagnia Il Gatto Nero, noi artisti di teatro d’ombre, ci siamo un po’ incastrati, persino intrecciati, con le caprette; abbiamo riso, abbiamo compreso che i bastoncini hanno una sottile pellicola protettiva che può staccarsi, e vanificare l’adesione alla marionetta, creandoci attimi di panico, sforzi sovrumani per non cedere alla difficoltà, e grandi sospiri di sollievo finali, e di soddisfazione. Le tre caprette è la storia più morbida, nell’esperienza teatrale fino ad ora, quella che non ha più il terrore della “prima” e si gode la solidità della conoscenza acquisita.
Il troll è bellissimo, è il nostro orco, è ruvido, irsuto, con grosso naso, è peloso, a volta gigantesco e con comportamento non benevolo. Per i norvegesi, i troll molestano le capre, e non sopportano il suono delle campane. Credo che ogni bambino abbia sempre guardato con simpatia all’orco, al troll, alla creatura gigante ed aggressiva che avrebbe mangiato i piccoli, le caprette, quello che si trovava davanti, e che poi ha sempre finito per essere cacciata, ridicolizzata, sconfitta.